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Europa 2006 - Isola di Man andata e ritorno -

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
14051624
14051624 Inviato: 10 Gen 2013 20:12
 

e beh... c'è poco da applaudire: ho fatto una cazzata grossa, MA TANTO GROSSA.
Ho avuto fortuna che sia capitato a poca distanza dalla città, una 60ina di km circa...
 
14051757
14051757 Inviato: 10 Gen 2013 21:05
 

cavolo complimenti!!
 
14051763
14051763 Inviato: 10 Gen 2013 21:08
 

di che? della cazzonaggine? icon_biggrin.gif
 
14051791
14051791 Inviato: 10 Gen 2013 21:13
 

grande 0509_up.gif

comunque, nella c...ta e nella sfiga, hai fatto le cose al meglio: hai sempre chiesto informazioni sulla strada che dovevi prendere, ti sei equipaggiato per quelle che erano le condizioni che sapevi avresti trovato, ti sei premunito di almeno un contatto locale per eventuali necessità.

col senno di poi sarebbero state necessarie anche altre cose, ma solo tu puoi saperlo perché solo tu eri lì.

ed in ogni caso benvenuto nel club (anch'io ne avrei qualcuna da raccontare) eusa_whistle.gif

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14052097
14052097 Inviato: 10 Gen 2013 23:07
 

e raccontala allora! così almeno siamo in due icon_redface.gif
 
14054403
14054403 Inviato: 11 Gen 2013 23:23
 

storia vecchia e già pubblicata (su altri forum)

capita a volte di osare, per voglia di fare o incompetenza

puoi superare la sfida da vincitore, cadere e rialzarti come niente fosse, farti male e/o fare tanti danni o ,,, non raccontarla

diciamo che la mia voglia ed una non adeguata competenza mi sono costati un bel pò di soldini ... fortunatamente solo quelli

adesso vai avanti con il racconto? 0510_regolamento.gif

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14058323
14058323 Inviato: 14 Gen 2013 1:23
 

ok adesso vado avanti icon_mrgreen.gif
 
14058325
14058325 Inviato: 14 Gen 2013 1:24
Oggetto: Capitolo 5_ Kazakhstan Atto I- Il m*****a Del Deserto
 

Capitolo 5
Kazakhstan Atto I- Il m*****a Del Deserto


Un’altra piccola tempesta di sabbia si abbatte su Kulsary, annunciata dalla sabbia che la brezza mi ha depositato addosso nella notte.
Tra sveglia e colazione mi collego rapidamente sul social network per annunciare il grande ritiro e
provo una fitta al cuore leggendo i commenti di incoraggiamento di chi sporadicamente riceve mie notizie.
Mentre andiamo all’autolavaggio la tempesta, oggi molto blanda, si placa del tutto e io mi chiedo se sono davvero convinto della mia decisione.
Non lo sono del tutto ma mi sento che è l’unica via praticabile.
A Samat ho chiesto di dare istruzioni perché lavino solo con l’acqua, giusto per togliere il fango.
Il ragazzo invece prende a lavare con lancia e schiume detergenti.

Link a pagina di Youtube.com

Io realizzo in quel momento che con quest’operazione mi stanno cancellando 8000 km di viaggio come se fossero i farneticamenti di un folle.
Sono così smarrito e ferito che non mi preoccupo neanche della lancia che spara acqua ad alta pressione sui connettori del motore.
Non me ne fotte nel modo più assoluto.
L’unico pensiero va al sogno sfumato di un viaggio troppo grande per me.
Mentre il mio animo è devastato da questi pensieri, tutta la fauna dell’ autolavaggio è rapita da questo mezzo che a loro sembra un’astronave,
tutti lì a fare foto coi telefonini e a sorridermi e a cercare di farmi domande.
Ma io non ho voglia di parlare, vorrei prendere quella lancia dell’acqua e infilarla dove so io a quel cazzone che sta cancellando le mie fatiche.
Alla fine lui gongola orgoglioso del lavoro fatto, io sprofondo nella depressione più cupa.
Vorrei davvero piangere.
Torniamo a casa e carico più velocemente possibile, dato che Samat ha degli impegni, declinando l’invito di fermarmi un altro giorno.
Mentre stiamo lì a salutarci, la moglie mi porta dei souvenir:
un cappello di lana di cammello per me e un piccolo cammello di peluche “per la tua fidanzata”.
Questi non solo mi cavano dal deserto e mi ospitano, mi fanno anche i regalini.
Ringrazio sinceramente dal profondo Samat e gli auguro ogni bene possibile.
Saluto tutti convinto di tornare a casa.



Mi fermo alle porte della città per comprare l’acqua, e trovarla ghiacciata mi fa perdere un po di tempo per passarla nelle borracce.

Penso che se parto spedito per la sera posso essere al confine russo e magari dormire ad Astrakan nella stessa casa per poi l’indomani girare a sud verso la Cecenia.
Il mio sguardo cade sullo specchietto ormai splendente e vedo la faccia di uno che ha perso un' occasione importante,
e questo mi deprime ancora di più.
Sono lì a travasare l’acqua nelle borracce, sbattendo l’ultimo pezzo di ghiaccio rimasto nella bottiglia di plastica per frantumarlo,
quando si avvicinano i due soliti tipi a fare le solite domande.
Io non ho molta voglia di parlare, ma sono simpatici e uno in particolare, quello più panzone con i denti d’oro e gli occhiali da sole in metallo,
conosce anche un minimo d’inglese.
Quando gli racconto del mio viaggio manifestano la loro ammirazione mordendosi il labbro inferiore mentre scuotono la testa,
gesto comune che da queste parti equivale all’americano “WOW!”.
Gli dico che volevo arrivare a Samarcanda ma desisto perché troppo difficile,
raccontandogli della disavventura del giorno prima e del mio senso di inadeguatezza alla cosa.
E mentre gliela racconto comincio inconsciamente a dare il giusto peso all’accaduto.
Così chiedo info sulla frontiera di Beyneu.
Mi dice che la strada è brutta da Beyneu fino alla frontiera, ovvero un’ottantina di km.
Poi ricomincia l’asfalto. Che i km totali senza benzina sono circa 450/500.
Gli chiedo se è sicuro di quanto sta dicendo, perché gente di Qulsary che si è dimostrata amica mi ha appena detto il contrario.
Risponde di sì: non è sicuro di come sarà l’asfalto, quanto grandi siano le buche, ma di sicuro c’è e comunque la strada è fattibile.
E in ogni caso, come dicevo io, è una via principale di collegamento tra due stati e se succede qualcosa c’è chi puo dare una mano.
Bastano queste parole a riaccendere la vampa della curiosità e del possibilismo.
Anche la vocina della sera prima ricomincia a parlare urlandomi che “ lo vedi qua che le cose non tornano? Lo vedi qua che si può fare?”
La cosa deve essere visibile dall’esterno:
mentre mi salutano il tipo, mostrando il suo sorriso a 18 kt, mi dice che sono un eroe.
Gli rispondo che:
-“No! sono solo un Idiota, non un Eroe!”
-“ Idiota o Eroe, chi può dirlo? Se non lo fai non puoi saperlo !”
E vanno via mentre lui sorride e l’altro, il più giovane, continua a mordersi il labbro scuotendo la testa.

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m*****a, e adesso? Inizia l’ora più carica di dubbi degli ultimi anni.
Trovo riparo dal vento sotto una pensilina del bus dove confronto le mappe e le guide di Russia e Asia Centrale, calcolo percorsi col navigatore.
Sì, il Caucaso russo è una meta da fare prima o poi, è verde, fresco, ci sono le terme.
Ma è un altro viaggio, non questo.
Dopo tutta questa strada e le difficoltà non ho voglia di andare a fare il pensionato tra le montagne.
Mi sembra di mollare tutto sul più bello.
Prendo il passaporto, riguardo i visti e faccio un po di conti sulle durate e i periodi di ingresso e uscita:
ho sforato rispetto ai piani ma ci sono ancora i tempi per fare tutto, anche se risicati.
Vedere il visto Uzbeko senza timbro della polizia di frontiera mi fa più male dell’arrendermi alla prima difficoltà.
Che poi difficoltà non è neanche la parola giusta:
è stato un incidente di percorso, una leggerezza che poteva costarmi la vita se fosse tutto successo 100 km più avanti, ma forse no.
Chi può dirlo? “se non lo fai non puoi saperlo!”
Comincia a diventare una piccola questione di principio: anche solo entrare in Uzbekistan fare una città e ritornare indietro sarebbe una piccola vittoria.
A metà ma sempre una vittoria.
Una sensazione a metà tra la paura, l’eccitazione e la voglia di lasciar perdere tutto s’impossessa dei miei pensieri,
mentre la vocina mi dice che ORA ho la possibilità di farlo e chissa quando potrò di nuovo.
Vado? Non vado? Che faccio, torno a casa? Vado avanti? No torno indietro! NO! Col c***o che me ne vado a casa!
VADO AVANTI! Fosse anche solo per mettere un timbro sul visto e uscire il giorno dopo. Vado!
Ci metto un po a trovare la strada per Beyneu, girando avanti e indietro sulla strada periferica della cittadina.
f*****o pure al navigatore che ci mette un eternità a calcolare i percorsi.
L’unica cosa che temo è di essere colto in flagrante da Samat o qualcun’ altro di conosciuto.
Mi sento come se fossi Pinocchio, Lucignolo e Mangiafuoco che scappano tutti e tre insieme sulla stessa moto, di nascosto da gendarmi ,fatine e grilli parlanti. Incarnato in questa laica trinità mi pervade un senso di onnipotenza delirante, facendomi sentire davvero eterno per un momento.
Ne sono certo: mi muovo veloce da uno stato all’altro contro ogni previsione e cambiando idea di continuo e
se la morte mi cercherà, quando arriverà non mi troverà da nessuna parte,
e se anche dovesse tagliarmi la strada ne sarà comunque valsa la pena.
E’ uno dei pomeriggi più belli di tutto il viaggio.

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Vado verso sud correndo su un nastro d’asfalto che taglia in due il deserto.
Sulla sinistra la ferrovia e,in lontanza, i rilievi montuosi che avrei dovuto attraversare per andare ad Aral, almeno credo siano quelli.
E sempre quei maledetti affioramenti d’acqua salina che vedo dalla calmucchia.
Mi fiondo a 120 kmh sull’unica strada degna di questo nome da tre giorni a questa parte con
un forte vento laterale che mi fa viaggiare inclinato quasi costantemente.
Di tanto in tanto qualche villaggio con i suoi tetti di lamiera, il suo cimitero e i corsi d’acqua che brillano nel giallo del deserto.
Qui la vita sembra scorrere sempre uguale, monotona e sonnecchiante e a parte il clima le uniche cose che sembrano cambiare sono i TIR parcheggiati nelle polverose piazzole di sosta delle chaikhane a bordo strada.
Mangio a pochi km da Beyneu nel locale di una simpatica signora.
Anche qui le mamme cazziano i figli che non hanno voglia di fare nulla.



Faccio anche il pieno al serbatoio. benzina a 80 ottani va benissimo, anche Sofia è onnipotente.
Entro a Beyneu e trovo il bazar di fronte alla stazione.
Lì mi dicono troverò la kanistra.
Ecco, adesso è il mio viaggio, ora ci sono.
Sono in un Bazar dell’Asia Centrale e sto contrattando il prezzo per una tanica d’acciaio da 5 litri.
Lascio il casco come garanzia per andare a vedere l’ingombro sulla moto. 5 o 10 litri?
No 5 vanno benissimo!
Mi informo per una camera al motel di fronte la stazione ma costa troppo. Torno indietro alle porte della città. Mi fermo davanti a uno visto prima e ci trovo davanti turisti europei che bevono birra.

Link a pagina di Youtube.com (mi perdonerete per aver lasciato il tappo stagno sul microfono dell'actioncam, vero? icon_redface.gif

Saluto, entro. All’interno sembrano esserci solo donne a gestire tutto il posto, una ragazza giovane mi fa vedere la stanza e ci accordiamo per il prezzo . Scaricati i bagagli mi concedo una birra gelata da bere sulle scale d’ingresso insieme ai turisti.
Sono quasi tutti tedeschi e sono li per il rally London- Tashkent con macchine tipo golf e Audi 80.
Con loro ci sono anche padre e figlio inglesi di origini turche.
La conversazione riprende dopo essere andato al market a fare spesa di scatolame e acqua da 5 litri e riempita la tanica di benzina.
Attacco bottone con uno in particolare di cui non ricordo il nome, motociclista anche lui, prossimo alla cinquantina.
Ogni tanto qualche battuta anche con uno con la faccia da tedesco,
leggermente calvo e con l’aria da ragioniere il cui nome tradotto in italiano è Goffredo,
che ha vissuto qualche anno in italia, come la donna che viaggia con loro.
Sono le prime parole in italiano dopo giorni di inglese e russo.
L’inglese più grande, che Goffredo chiama il turco ablante,
è quello che fa più caciara quando parla e a tratti è quasi sborone nelle sue affermazioni e quasi fastidioso nel voler essere sempre divertente.
Quelli con cui non scambio molte parole sono i due più giovani con l’aria da figli di papà e le loro polo col colletto alzato.
Hanno l’aria di quelli più convinti di stare facendo la grande avventura e di essere più fighi degli altri.
Percepisco le piccole tensioni all’interno dei vari equipaggi e le antipatie nate in giorni di vicinanza forzata.
In questo momento mi trovo a gioire della mia condizione solitaria,
delle decisioni in autonomia e libertà e soprattutto del vantaggio principale che questa condizione comporta,
ovvero quello di dovermi necessariamente rapportare alla gente del luogo per trovare compagnia.
Capisco infatti dai loro racconti che non sono stati molto a contatto con i locali e non me ne stupisco visto che stanno sempre in gruppo tra di loro.
Mangio insieme a loro l’ultima scatola di storione in scatola comprata ad Astrakhan,
nella speranza che non si sia avariato dopo ore di sole cocente,
mentre il sole va giu dipingendo il cielo di un arancio drammatico e tranquillizzante.
Vado a nanna dopo aver affidato la tanica al portiere di notte e fatto mettere le borracce in congelatore.
Inutile dire che il sonno tarda a venire per l’eccitazione.
So però di aver fatto la cosa giusta: la mia metà mi scrive che ora riconosce l'omo suo.





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Mi sveglio alle 5.00 ora locale e dopo due macchinette di caffe inizio i preparativi.
La combinazione di 5 lt d’acqua e 5 di benzina è perfetta e tutto è al suo posto.
Copro il tutto, come faccio sempre, con due asciugamani inzuppate d’acqua.
I tedeschi partono prima anche se eravamo rimasti d’accordo di andare insieme.
Non è un problema: ho il vago sospetto che questa frontiera sarà molto lunga.
Il navigatore imbrocca subito la strada (e grazie, c’è solo quella) che attraversa la cittadina nelle sue aree periferiche.
A terra ci sono lunghi tratti in cemento armato ormai sbriciolato con i ferri d’armatura che fuoriescono minacciando le gomme dei veicoli.
Sto molto attento a non finirci sopra e con la moto carica non è facile.
Finalmente inizia la strada che mi era stata descritta come infernale.
Finito l’asfalto groviera inizia un lungo sterrato che si alterna a tratti molto lunghi di ghiaia di varie pezzature, a volte su fondo più duro.
La cosa che cerco di fare è mantenere l’andature più costante possibile, evitando di usare i freni.

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c***o, lo sto facendo davvero: sto andando in Uzbekistan!
Sono vivo, sono in salute,sono equipaggiato, !
Sono un cazzone che sfida se stesso su una strada sterrata cercando di prendersi una rivincita su una terra difficile.
A ben vedere una cosa abbastanza stupida, ma in quel momento la cosa più entusiasmante della mia vita. E forse non solo in quel momento.
Incontro un ciclista francese diretto anche lui in Uzbekistan. La sua faccia è leggermente sofferente ma tutto sommato l’ espressione è di chi sta facendo un giro nel parco sotto casa. Questo è il vero eroe della giornata. Nei punti di pietrisco più morbido la moto tende ad andarsene altrove ma riesco sempre a tenerla. Il punto più brutto è a metà strada dove ci sono due tratti abbastanza lunghi di sabbia soffice. Appena mi avvicino al primo, una Lada simil 124 mi supera e mi si mette davanti facendomi rallentare di colpo e per un attimo temo di cadere, dato che il tipo davanti non fa altro che frenare. Arrivati al secondo tratto lo faccio andare parecchio avanti in modo da non averlo tra le palle e così facendo ho modo di attraversare la sabbia a manetta, dritto come una freccia. Ogni tanto qualche villaggio di poche case, qualche corso d’acqua e gli immancabili cimiteri.



La polvere dei camion è effettivamente fastidiosa e alcune volte devo fermarmi per farla svanire, dato che non riesco a vedere nulla.
Alla fine in un’oretta sono alla frontiera, dove ritrovo i tedeschi in coda con tanta umanità locale.
Quando scendo dalla moto noto con un certo piacere che Sofia è di nuovo impolverata.
Daje Sofì che siamo ancora in ballo!
Mi dicono che i cancelli sono chiusi dalla sera prima.
Capisco il perché di tutta questa gente dalla faccia assonnata e con i vestiti buoni spiegazzati e logori.
Tutt’intorno non c’è nulla, nel modo più assoluto.
Solo deserto e qualche sterpaglia, e il piazzale d’ingresso è delimitato da qualche chaykhana e officina sparse qua e là.





Mentre parlo coi tedeschi si avvicina un kazako con la faccia bruciata dal sole e dalla sabbia eccitatissimo per il mio viaggio.
Mi stringe la mano, mi abbraccia e mi invita a prendere un the.
Invito che declino ringraziando di cuore.
Quando aprono il cancello una marea di gente sbuca fuori dal nulla come fossero gli zombi di un film di Romero:
stavano tutti all’ombra dietro i camion o le casupole e ora riempiono il piazzale dando vita e una folla disordinata ma composta.
L’aria che tira qui non è delle migliori: i modi delle guardie di frontiera sono particolarmente arroganti e a tratti cattivi.
Noi europei veniamo subito fermati e indirizzati agli sportelli per le procedure dopo verifica della completa documentazione.
Ci mettiamo in fila con kazaki e uzbeki e aspettiamo il nostro turno in una sala troppo piccola per contenere il numero dei presenti che dovrebbero passare per le due porte poste alle estremità di una parete in panneli d’alluminio.
Naturalmente le procedure di controllo dei documenti sono lente e man mano che arriva più gente le file si sfaldano,
facendo entrare in azione i militari più giovani che con modi bruschi e la mano sul calcio della pistola spostano fisicamente le persone per rimetterle in riga. Siamo davvero meravigliati di vedere questo trattamento e io personalmente non posso smettere di pensare alla stupidità e cattiveria dell’essere umano. Basta una divisa e un superiore per essere s*****i, dimenticando che in qualsiasi momento si può essere dall’altra parte.
Forse per non fare brutta figura con gli europei, a un certo punto i militari ci chiamano e ci fanno saltare la fila.
Non nego di sentirmi s*****o a fare questo ma mi sembra ovvio approfittare della possibilità.
Consegnata la dichiarazione di proprietà del veicolo fatta in Russia, si può uscire.
In tutto saremo stati un oretta e mezzo. Ma chiaramente non è finita.

Anche il cancello uzbeko è chiuso e ci dicono che aprono quando gli va.
Scopriamo che c’è gente che ha fatto fino a 16 ore di attesa ed è particolarmente nervosa, oltre che stremata.
Noi riusciamo a sistemarci proprio davanti al cancello d’ingresso.
Sulla sinistra una fila di camion e TIR, sulla destra la fossa per la disinfezione delle ruote piena di acqua lurida con le auto di alcuni locali in fila e ,
oltre il cordolo della “strada” un serbatoio d’acqua da cui si attinge per rinfrescarsi e qualcuno beve anche.
Dall’altra parte della rete ci stanno i soliti ragazzotti poco più che adolescenti equipaggiati con mitra più pesanti di loro stessi.
Siccome capiamo che andrà per le lunghe ne approfittiamo per chiacchierare e mangiare, chi un panino chi una mela.
Faccio notare alla crucca che il suo abbigliamento non è molto adeguato alle località che sta attraversando.
Mi chiede se mi riferisco al velo.
No, mi riferisco al vestitino che lascia le spalle scoperte e arriva fino a sopra le ginocchia.
Le dico che magari agli uomini piace pure, ma alle donne non farà molta simpatia.
Lei fa spallucce e dice che finora non ha avuto problemi.








Mi accorgo che lo scatolame comprato il giorno prima non ha l’apertura ad anello e Goffredo mi presta il suo coltellino svizzero.
Vorrebbe farmi vedere come si usa ma sembra che non abbia mai usato un attrezzo del genere.
Anche se l’immagine della lattina non corrisponde al prodotto,
che si rivela un impasto di riso precotto,premasticato e predigerito con due pezzettini di carne,
divido lo stesso con un paio di loro e devo dire sembrano apprezzare.
Bagno di nuovo le asciugamani, il mio frigo da viaggio, mentre il tipo entusiasta di prima passa e spassa tre o quattro volte,
ogni volta stringendomi la mano e facendomi complimenti.
Sembra tutto tranquillo fino a poco prima dell’apertura del cancello.
Una signora con tutti i denti d’oro dice con fare minaccioso ai due Figli di Papà che devono mettersi in fila per la fossa igienizzante anche loro.
Provo a tradurre ma loro hanno gia capito facendo finta del contrario.
La prima macchina in fila è quella del turco ablante.
Quando finalmente aprono la signora comincia a sbraitare alla macchina del turco/inglese che si barrica dentro.
La donna urla come una strega invasata ai finestrini delle macchine europee mostrando il pugno chiuso.
Io all’inizio osservo dalla moto sperando nel buonsenso di questi sedicenti rallysti ma quando vedo l’inasprimento della situazione scendo e
inizio a dire a tutti di tornare indietro e fare come dicono loro.
correndo avanti e indietro la strega aizza la folla fino a quando un gruppo di omaccioni non comincia a fare segno alle macchine di tornare indietro,
arrivando al punto di cercare di sollevare la macchina del turco per spingerla indietro, con ottimi risultati devo dire.
A questo punto il Figlio di Papà con la polo scende dall’auto a fare il maschione in cappellino da baseball e bermuda,
facendo il gesto di calmarsi con entrambe le braccia e si ritrova faccia a faccia con la strega, l’uno a sbraitare sull’altra.
Lui dice che non è questo il modo di comportarsi con noi, che dovrebbero ringraziarci perché “we come in your country to bring you money!”.
Sei un genio ragazzo, sei proprio un genio!
Ovviamente la signora capisce solo”money” recependo la frase come se fosse “ siete una manica di straccioni”,
si volta indietro e ricomincia ad aizzare.
Io riscendo dalla moto e fronteggio il cazzone urlandogli di tornare in macchina e fare come dicono:
siamo nel loro paese e dobbiamo stare alle loro regole così come pretendiamo che loro facciano quando vengono in europa.
Gli urlo come gli venga in mente di fronteggiare una folla inferocita in terra straniera, molto straniera, con quest’arroganza.
Mentre Mr. Bermuda mi guarda in cagnesco il cancello, che prima era stato richiuso per i disordini, si riapre e ne vengono fuori due giovanotti armati che placano la folla e ci fanno entrare senza passare dalla buca.
Ci mettiamo in coda anche lì insieme, ma ormai dopo la mia performance non faccio più parte del loro gruppo, e la cosa non mi dispiace affatto.
Provo a spiegare al turco che sicuramente io sono più attaccabile essendo in moto,
ma non sarà certo il finestrino dell’auto la barriera che impedirà il suo linciaggio.
Bermuda non mi caca più ed è meglio così.
Con Goffredo e col Motociclista riflettiamo insieme su come qui la polizia tenda ad incattivire le persone.
Alla fine questi sono uzbeki e hanno fatto 4 ore di attesa e controlli davanti alla loro frontiera del loro paese.
Anche qui ci agevolano facendoci passare avanti con lo sbattimento da un ufficio all’altro, dichiarazioni , moduli e alla fine passiamo dall’altra parte.
Sono partito alle 8.00, entro in Uzbekistan alle 2.00.

Suggerisco di fermarci alla prima chaykhana a cambiare soldi e a rinfrescarci con un te.
C’è un bazar subito dopo il cancello con i soliti cambiavalute e assicuratori,
ma i Crucchi e gli inglesi fanno schizzare via veloci le loro auto ricominciando a giocare ai piloti.
Bene, se ne andassero affanculo loro e l’arroganza da colonizzatore occidentale.
Io continuo piano sulla mia strada e mi accorgo subito che non ci sarà nulla per tanti km.
Sono tentato di tornare indietro quando sulla sinistra vedo una casupola bassa e povera con su scritto chaikhana.
Giro e parcheggio.
Intorno non c’è nulla, se non qualche altra casupola in lontananza nel deserto e la strada.
Il sole è accecante e il paesaggio rende la luce di un giallo intenso.
Busso e quando sporgo la testa per chiedere permesso,
intravedo nella penombra una grande sala piena di tappeti su cui conversano e riposano una decina tra uomini e donne che
mi guardano sorpresi e un po allarmati.
Uno mi fa cenno di entrare.
Mi tolgo gli anfibi roventi.
Ed entro.
 
14059177
14059177 Inviato: 14 Gen 2013 14:04
 

Semplicemente bel-lis-si-mo...!!! eusa_clap.gif eusa_clap.gif eusa_clap.gif
 
14059227
14059227 Inviato: 14 Gen 2013 14:18
 

Restiamo in trepidante attesa .

Finora stupendo racconto......
 
14065759
14065759 Inviato: 16 Gen 2013 21:49
 

racconto molto molto bello...
non ho avuto ancora tempo/"coraggio" di guardare i video,anche perchè son molti...
però oltre ai complimenti avrei anche una domanda (se non è indiscreta)

come mai proprio l'Uzbekistan e proprio Samarcanda?!?
 
14070682
14070682 Inviato: 19 Gen 2013 13:04
 

E beh, avevo voglia di deserto e di via della seta, oltre che di approfondire la conoscenza dei paesi islamici. Nonchè di capire come sono le strade che portano alla mongolia ese potesse essere cosa mia arrivarci....
 
14070683
14070683 Inviato: 19 Gen 2013 13:05
 

Letto tutto!!! Che bello! Viaggio pazzesco!!! Un giorno ci voglio provare anche io. 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif

Stima eterna. 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif

A quando il prossimo capitolo? eusa_pray.gif
 
14071828
14071828 Inviato: 19 Gen 2013 22:31
 

spero edntro una settimana,,, sto scrivendo l'uzbekistan.
grassie per l'attestato di stima icon_smile.gif
per farlo basta partire e andare a est...
 
14081408
14081408 Inviato: 24 Gen 2013 1:34
Oggetto: Capitolo 6_ I Meloni dell'alleanza e altre storie
 

Capitolo 6
I Meloni dell'alleanza e altre storie




Link a pagina di Grooveshark.com

Lo stanzone è fresco e il pavimento,coperto di tappeti, è più alto di un gradino rispetto all’ingresso dove vengono lasciate le scarpe.
Lascio lì le mie insieme al casco. Il tizio che mi fa segno di entrare sta in fondo alla sala insieme a un uomo e una donna.
Ci sono altri due gruppetti, uomini e donne che interrompono le loro chiacchiere creando un silenzio sospeso in attesa delle mie parole.
Faccio il segno universale del denaro, fregandomi pollice e indice della mano destra e dicendo “change money”.
Sì perché in tutto questo non sono mai andato a trovarmi la traduzione di “cambio”. Soldi sì, cambio soldi no!
Ma è chiaro cosa stia cercando, per cui il Tipo chiama qualcuno e dal varco nel muro, coperto con nastri di plastica,
esce una donna corpulenta a cui riesco a spiegare che vorrei cambiare dollari in Som.
Non ricordo quanti dollari, ma in tutto fanno un’ ottantina di migliaia di som.
Mentre la signora torna di là, il Tipo mi invita a prendere un thè.
Siedo insieme a loro e la Signora me lo porta insieme ai soldi.
Mi stupisco di vedere un mazzettone enorme di banconote. Ottantamila Som in pezzi da mille.
Fossero banconote da dieci euro sarebbe una bella somma. Vorrei chiedere un taglio più grande ma va bene così per ora.
Bevo il mio the bollente che placa l’arsura di 6 ore di dogane.
Racconto del mio viaggio al tipo e tutti mi ascoltano. Ed è un continuo scuotimento di testa e morsi alle labbra.
Due donne , che stanno vicino all’ingresso, mi chiedono se sono sposato e ridacchiano imbarazzate alla mia risposta negativa.
Il tipo mi fa i complimenti per il mio russo e tutti annuiscono mentre mi chiede come mai parlo questa lingua, cosa inusuale per un occidentale.
Gli dico che non ricordo nulla del corso di cento ore che ho fatto apposta per questo viaggio e che non lo parlo affatto bene, ma pare non essere d’accordo. Sicuramente è inusuale che un turista parli russo e questo è gia tanto per loro.
In realtà quello che mi salva nella comunicazione è la mimica, e ringrazio la cicogna per avermi portato in Sud Italia e non in Germania.
Il tipo vive tutto l’anno a Mosca e per le vacanze è tornato dalla famiglia.
Mi chiede se in Italia ci sono uzbeki e non è sorpreso della mia risposta negativa:
a lui come a molti piacerebbe lavorare in Europa ma il Som è una moneta troppo debole per affrontare le spese iniziali e
anche il regime dei visti non è molto morbido per gli Uzbeki. Senza contare le difficoltà linguistiche.
Scopro subito che in Uzbekistan sono informati sulla crisi italiana e mi stupisce che, in un paese nel nostro immaginario da terzo mondo,
guardino all’Europa con compassione. Ho idea che ci sfugga qualcosa.
Capisco anche che non mi vedono ricco solo per il fatto di essere arrivato lì con una moto per loro costosa.
Mi percepiscono per quello che sono, ovvero uno che ha messo i soldi da parte facendo salti mortali tutto l’anno per fare questo viaggio.
Un po’ mi dispiace lasciare questa gente così affabile, ma non posso certo fermarmi a un km dalla dogana.
Dopo la foto di rito davanti alla moto riparto verso sud.



Nulla di nulla per km e km. Solo sabbia, qualche sterpaglia e di tanto in tanto carrozze dei guardiani di cammelli.
E un vento infame da sinistra.





In questi giorni, tra lo scirocco in Ucraina e l’asciugacapelli kazako, ho trovato il modo di contrastare il vento con meno sforzo.
Considerando che il tronco e la testa sono una vela spinta dal vento,
basta staccare un ginocchio dal serbatoio e ruotare il busto il modo da convogliare l’aria per dare una spinta contraria.
Ti stanchi uguale, ma almeno non rimani con mezza schiena dolorante.
Dal punto di vista geopolitico la zona in cui mi trovo ora è il Karakalpakstan, una sorta di repubblica autonoma all’interno dell’Uzbekistan.
E’ completamente deserto ma è cosparso di villaggi e piccoli centri abitati.
Non so perché ma dimentico che se andassi alla mia sinistra, verso est,
arriverei al lago di Aral dove c’è un cimitero delle navi, che tanto desideravo vedere.
Invece no, rimuovo l’informazione e vado dritto. Arrivo a una sbarra che chiude la strada.
Dal gabbiotto esce un ragazzo che mi dice se ho bisogno d’acqua.
Pensando si riferisca a un bicchiere offerto accosto, ma esce con due bottiglie gelate.
E sì: nel deserto mica te la regalano l’acqua.
Ringrazio ma ho altri 4 litri abbondanti.
Dal nulla sbuca un altro individuo vestito per bene con tanto di borsa, un po sofferente ma perfettamente a suo agio in quella landa bruciata dal sole.
Giusto per essere sicuro chiedo per Nukus e mi dicono entrambi "Priàma!" ovvero dritto. E verso dove sennò?

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Mi fermo qualche decina di km avanti a pomeriggio inoltrato.
C’è un area di sosta per i camion dove si può mangiare.
La terra intorno è gialla, il cielo è giallo e la luce filtra in mezzo alla sabbia nel vento.
Capisco ora perché da queste parti tutti sputano continuamente e disinvoltamente.
Il posto all’interno sembra freschissimo anche senza condizionatori.
Si entra in una grande sala, ora vuota, con addossato al muro un mobile decorato in zinco con lavabo e specchio.
Sulla destra il banco dove si ordina da mangiare e qualche tavolo.
In realtà nel banco non ci sono prodotti alimentari ma ricambi per auto e camion, attrezzi, lampadine.
La parete alle spalle della signora che gestisce è aperta e comunicante con la cucina.
Non sono particolarmente gentili, ma riesco ad ordinare un piatto di carne squisita e una birra ghiacciata scambiando qualche sorriso,
ma nessuno mi fa domande. Neppure i camionisti russi che entrano a comprare qualcosa mi degnano di attenzione e va benissimo.
Dietro il banco, in alto a destra nell’angolo, c’è un piccolo televisore sintonizzato su un canale russo che
trasmette “Beetlejuice” in lingua originale con la voce dei doppiatori sovrapposta a quella degli attori anglofoni in modo grezzo e inespressivo.
Sarà pure barbaro, ma così si impara la lingua, e non è poco.
Mangio la mia squisitezza di carne combattendo una guerra spietata con le migliaia di mosche del locale,
neanche minimamente decimate dalla carta moschicida penzolante dal soffitto come fosse un addobbo di carnevale.
Faccio altri km verso sud con l’obiettivo di arrivare a Nukus , la prima citta di una certa importanza, almeno amministrativa, sulla mia strada e,
secondo Samat, la prima traccia di civiltà dopo il superamento dell’inferno.
Già…. Samat e l’inferno di sabbia! Finora gli unici km terribili sono stati gli 80 tra beyneu e la frontiera.
La strada che sto facendo ora passa in mezzo alla sabbia fine e infuocata, ma è d’asfalto.
Il manto è sbriciolato, ci sono buche di una certa profondità anche consecutive, ma è asfalto.
E alla seconda sbarra di controllo , dopo quella del ragazzino, il vecchio che mi ha aperto mi ha chiesto se avessi benzina.
Sono quasi certo che la vendesse pure.
La vocina dice sempre più forte: “lo vedi? Lo vedi che non era vero?”
Ma perché? Proprio non riesco a spiegarmi il perché di quegli avvertimenti così minacciosi.



Stare assorto in questi pensieri mi distrae dalla strada e spesso
le buche sono cosi profonde o i dossi di sabbia così alti che la moto salta in modo scomposto,
con la ruota posteriore che si alza più dell’anteriore.
Rischio un po di volte di perdere il controllo anche per il rinculo del fondo corsa, ma riesco sempre a tenerla e ad evitare il peggio.
Penso che se cadessi ora su quest’asfalto a questa velocità sarebbe un massacro di scorticature nella migliore delle ipotesi e la cosa mi fa rabbrividire.
Al tramonto sono quasi vicino a Nukus quando la strada gira a destra e supera la ferrovia.
Lì ci stanno dei bambini che vendono bottiglie d’acqua, provenienti dal villaggio che si scorge sulla sinistra.
Quando mi vedono impazziscono correndomi dietro.
Io ho fretta e non vorrei fermarmi ma uno di loro mi urla “ Nomer! Nomer! Smatrì nomer!” La targa? “Nomer remont!”
La targa è rotta? Opporcaputtana!
Scendo a controllare.
E sì: la plastica è tranciata in due proprio sopra la targa stessa e rimane attaccata soltanto con il filo della luce.
I bambini ridono ripetendo a pappagallo le mie bestemmie e per evitare di passare alla storia come emulo di Erode mi sposto un km più avanti.
Comincio a svuotare le valigie per tirare fuori il nastro isolante e fare una riparazione provvisoria.
Dalla direzione opposta arriva un bambino a piedi che quando mi saluta , lo fa porgendomi entrambe le mani.
Qui è un gesto diffuso: si fa con i familiari e con le persone degne di tanto rispetto.
Forse perché da solo, a differenza degli altri, lui è molto educato:
mi guarda con i suoi occhi grandi e neri mentre avvolgo il porta targa col nastro ,
rispondendo educatamente alle mie domande e sorridendo ai miei sorrisi tirati.
Dalla stessa direzione arrivano due tipi su una vecchia Ural arancio.
Il tipo che guida , con la faccia e i modi dell’ italico meridionale che si crede un boss,
scende dalla moto camminando a gambe larghe chiamandomi continuamente “maifrend!” .
Dice che sta andando al villaggio vicino ad accompagnare il suo amico che domani si sposa,
di aspettarlo lì così poi vado con lui a Nukus e lì grande divertimento e ottimi alberghi e cibo buono evvai così.

Voi penserete che io abbia aspettato il mio nuovo Maifrend per andare a Nukus con lui, vero?
Sbagliato:
già stavo incazzato, figurarsi quando uno che mi vede in difficoltà arriva ridendo,
chiedendomi sigarette (da me arrotolate, per lui e l’amico) di cui sputacchierà il tabacco a 20 cm da me per tutto il tempo,
e preoccupandosi solo di fare foto col pollice in alto davanti alla mia moto.
MavafanculutueNukus!
Il ragazzino mi dice che c’è una “gastiniza” nel villaggio e mi può accompagnare.
Perfetto: una notte al villaggio è quello che ci vuole oggi.
Lo faccio montare dietro ed entriamo in paese ,
lui mostrandomi la strada io regalandogli un giorno di gloria di fronte agli altri bambini.
Maifrend esce in contemporanea al nostro ingresso e non gli do tempo di dire nulla, neanche mi fermo.

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La locanda è in realtà uno spaccio di bibite e qualche alimento,
di proprietà di una signora sui sessanta che veste in abito tipico, la testa coperta con un foulard colorato.
Insieme a lei ci sono una giovane donna, che scopro essere la nuora, e il nipotino sui sette/ otto anni.
La casupola si sviluppa ad L: lo spaccio prende un braccio, sull’altro ci stanno 3camere con due letti ciascuna.
All’incrocio, in fondo, il WC separato da lavabo e doccia in costruzione.
Ci accordiamo per il prezzo, davvero ridicolo, e compro un bottiglia d’acqua gassata e gelata.
Me la godo nello spiazzo lì davanti, seduto su una panca circondato dai bambini, caciaroni e divertenti ma difficili da tenere a bada.
Il più guappo ha una bici con i CD attaccati ai raggi e una sirena polifonica che fa un macello della madonna.
A lui piace la mia moto, a me piace la sua bici: tra tamarri ci si intende.
Ce n’è un altro con la bici nuova nuova e colorata che dice che la sua è più f**a.
Un altro mi chiede da fumare e ovviamente gli dico di no perché è piccolo e perché fa male.
-“E tu perché fumi?”
-“perché sono stupido?”
Risata
-“in Italia parlate il russo?”
-“No, l’italiano!”
-“E perché lo parli?”
-“per venire qui da voi! E voi perché parlate russo se siete Uzbeki?”
-“Lo studiamo a scuola!”

Azzo! Lo studiano pure a scuola! Ma non era questa la terra dove nessuno parla russo?

Ridono ai miei gesti, ridono alle mie imprecazioni quando il ragazzino accende la sirena.
Sono bellissimi e non posso fare a meno di ricordare l’infanzia
quando scapicollavo con gli amici per campi e viuzze della periferia di Catanzaro,
chi con la bici nuova fiammante, chi con il più improbabile velocipede possibile, senza distinzione di reddito o classe.
Bella l’infanzia, con i sogni alimentati dalla fantasia e l’occhio vigile e protettivo dei genitori.
Ma francamente ancora più figo essere adulti,
quando i sogni li puoi realizzare e la vigilanza familiare è stata abbondantemente destituita:
e mica ci puoi andare da bambino in Uzbekistan con la moto!







La signora mi invita a mangiare con la famiglia.
Beviamo the e mangiamo una zuppa di verdure e carne tritata.
Mi racconta del figlio che sta via a lavorare in Russia e torna poche volte all’anno.
E questa pare essere storia comune nel villaggio: entrando ho visto molte donne.
Praticamente è un villaggio di donne e bambini.
Evidentemente gli uomini sono costretti a emigrare in massa, chi nelle città più grandi, chi in Russia.
Mentre parliamo i bambini entrano ed escono dalla casa, guardandomi e ridendo , facendomi gesti e boccacce.
A un certo punto uno di loro mi chiama e mi fa vedere che hanno svitato il tappo della ruota posteriore con l’intenzione di sgonfiarla.
Io m’incazzo e urlo a tutti che questo è pericoloso per me,
ed è pericoloso che si attachino alla moto come scimmie (ne avevo trovati un paio appesi al manubrio che tiravano dal lato opposto al cavalletto).
Insomma li sgrido abbastanza pesantemente.
Il ragazzino che mi aveva chiamato se ne va mandandomi a cacare, gli altri se ne vanno offesi.
Spiego alla signora perché li ho cazziati, e lei lo spiega ai genitori dei ragazzini che chiamano lei per sapere cos’ è successo.
Comunque sia la signora e la nuora vanno a dormire e mi lasciano tutta la casa.
Posso prendere dal negozio, avessi bisogno di qualcosa, lasciando i soldi.
Tutto rimane aperto, anche la porta in modo da scoraggiare chi volesse avvicinarsi alla moto.
Così suggerisce la signora.
Io sono stanco e vorrei farmi un bel sonno ma ho un pensiero che non riesco a togliermi.
Ho trattato male quei ragazzini che stavano solo giocando.
Non hanno minimamente idea di quanto possa pesare una moto come quella , con quel carico.
E magari credono che a sgonfiare la ruota me la rigonfio in un baleno, come fanno loro con le loro bici.
E dopo sto cazziatone che ricordo si porteranno del forestiero con la moto nera?
No, dai: il senso di colpa è troppo forte.
Non mi va di essere ricordato come lo s*****o arrivato dal nulla a cazziarli.
Non posso rovinare così una bella giornata, mia e loro.
Quindi prendo frasario e dizionario, metto insieme due concetti base e torno da loro, che continuano a giocare a nascondino tra le vie del villaggio.
Appena sbuco tutti si raggruppano intorno a me e gli spiego che non volevo arrabbiarmi,
che l’ho fatto perché non mi so spiegare bene e ho avuto paura per la cosa pericolosa che stavano facendo.
Di non giocare con la moto salendoci sopra perché è pesantissima e se gli cade addosso è capace di schiacciare uno di loro.
Di scusarmi per i miei modi.

Siamo Amici? Sì, siamo amici!
Partono le strette di mano e i sorrisi. Mi sento davvero meglio.
Loro tornano a giocare e mi danno la buonanotte.
Probabilmente avranno fatto pure il circo sulla mia moto quella notte.
Io di certo non ho sentito nulla.
Fa caldo, ma appena tocco il materasso crollo per il sonno e la soddisfazione di passare la mia prima notte in Uzbekistan.
Con un pensiero neanche tanto recondito:
Samat…. Tiè!
 
14081702
14081702 Inviato: 24 Gen 2013 10:17
 

Mamma mia che spettacolo... 0509_doppio_ok.gif 0509_doppio_ok.gif complimenti davvero..... icon_exclaim.gif icon_exclaim.gif icon_exclaim.gif
 
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14081854 Inviato: 24 Gen 2013 11:04
 

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Non ci sono parole.

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14082215 Inviato: 24 Gen 2013 14:05
 

narkelion ha scritto:
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Non ci sono parole.

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mi associo 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif
 
14083127
14083127 Inviato: 24 Gen 2013 19:38
 

Echeccacchio...!! icon_eek.gif icon_eek.gif
Bello... Bello... Bello... 0510_sorriso.gif 0510_sorriso.gif
 
14084003
14084003 Inviato: 25 Gen 2013 0:55
 

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grassie!
vi chiedo solo di pazientare un pochino per il prosieguo....
 
14086092
14086092 Inviato: 26 Gen 2013 2:19
 

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14097074
14097074 Inviato: 31 Gen 2013 10:21
 

Ho appena beccato il racconto, spettacolare.
Complimenti per tutto ma sopratutto per lo spirito con cui hai affrontato il viaggio, resto in trepidante attesa di leggere il resto icon_smile.gif
 
14097502
14097502 Inviato: 31 Gen 2013 13:53
 

Complimenti per l'esperienza di vita che hai vissuto e che in parte ci stai regalando 0509_doppio_ok.gif

Non c'è nulla di piu' istruttivo per un motociclista di un viaggio in solitaria Tu e la tua Moto, per conoscere meglio se stessi i propri limiti e le proprie forze.

E che poi di solitario c'e' ben poco, basta lasciarsi coinvolgere dalla vita...


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14105148
14105148 Inviato: 4 Feb 2013 1:54
 

E piano piano vado avanti.... icon_smile.gif
 
14105149
14105149 Inviato: 4 Feb 2013 1:55
Oggetto: Capitolo 6
 

Capitolo 6



Mi sveglio discretamente presto e con calma faccio due volte il caffè, mi do una lavata e carico la moto.
Prima di andare scambio due chiacchiere con i nuovi ospiti della locanda, appena arrivati in taxi.
Lei è uzbeka e vive in Russia, lui russo e poco loquace. Raccomando a lei di salutarmi la Signora e la Nuora.
La strada continua a correre ancora nel deserto e ho ancora benzina nel serbatoio.
Sono ormai rassegnato ad altri km di paesaggio sabbioso quando, poco prima di Nukus improvvisamente esplode il verde.

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Il paesaggio si riempie di corsi d’acqua e campi coltivati e addirittura alberi, che non vedevo da Astrakhan.
Intorno all’asse stradale, due corsie che stanno espandendo a quattro, iniziano a vedersi i segni di una pacifica attività rurale e produttiva:
donne alla fermata del bus, bancarelle di ortaggi a bordo strada, carretti pieni di frutta.

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Ho ancora almeno tre litri di benzina ma cerco lo stesso un benzinaio aperto, essendo palese che non ne troverò molti funzionanti sulla strada.
Anche qui, come in Russia e Kazakhstan, ci si serve e poi si paga.
Chiedo di fare 20 litri, ma non bastano a riempire.
Ne faccio abilitare altri 5 capendo che chiaramente la pompa è taroccata.
Quando vado a pagare, molto discretamente dico al tipo dietro le sbarre:
-“ Tovarish, che facciamo? il mio serbatoio porta 23 litri, ne avevo tre e ne ho messi venticinque. Quindi?”
Non finisco di parlare che lui mi risponde “Dai, dai… ti ridò i soldi”.
L’ammissione di colpa espressa con tale candore fa passare in secondo piano il fatto che mi rimborsi tre litri invece di cinque.
Basta poco per essere imbrogliati e felici.
Poco più avanti sulla stessa strada mi fermo da dei ragazzi che vendono meloni sotto una tenda a bordo strada.
Loro mi guardano incuriositi e non sono molto loquaci, credo non parlino russo.
Il più grande inizia a tagliare lui ogni fetta, poi lo fermo e faccio da me col mio coltello.
Quando alla fine del succoso pasto tiro fuori il tabacco e inizio a girarmi una sigaretta il Ragazzo mi guarda incuriosito.
Gliene giro e offro una fatta col poco tabacco che rimane, rifiutando una delle sue senza filtro.
Mentre tira la prima boccata guarda nel vuoto perplesso, poi abbozza un sorriso e fa di sì con la testa.
Fumiamo insieme e mentre sto per andare via mi regala un melone da portare con me, che accetto più che volentieri.
Pollici in alto per la mia moto mentre sistemo il melone sotto l’asciugamano bagnata.



Farò un'altra sosta alla periferia di Nukus a mangiare in una chaikhana invasa dalle mosche e gestita da simpatiche signore.
Mi farò anche mezz’oretta di collasso sui tappeti all’esterno.
Cerco di sistemare meglio la targa aggiungendo nastro isolante, ma non servira a molto visto il caldo che fa.
Un signore di passaggio, con cui ho condiviso il palchetto per lo sbraco, mi porge un pezzo di filo d’acciaio arrugginito preso da terra.
Lo porto con me senza usarlo. La giornata proseguirà tranquilla tra alternanze di deserto e aree verdi.

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La gente pare essere assolutamente tranquilla.
I bambini giocano facendo bagni nei fiumi e persino nei canali d’irrigazione e
le donne sembrano godere di una certa libertà anche nelle zone rurali, a partire dal non obbligo di portare il capo coperto.
Gli uomini sorridono e c’è una gentilezza diffusa che mi fa sentire accolto bene.
Anche qui la gente fa domande, ma mi sento meno animale da circo.

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Insomma, non si respira affatto l’aria da dittatura,
se non per i posti di blocco fissi ogni 100/120 km oppure all’imbocco di ogni viadotto fluviale,
a quanto pare considerato di interesse militare visto che non è possibile scattare foto al paesaggio.





I primi controlli sono più approfonditi, con tanto di domande su che m*****a ci faccia lì e controllo documenti della moto.
Nei giorni a seguire avrò come l’impressione che si siano passati la parola, vista la superficialità , o totale assenza, dei controlli.
In questa prima giornata sperimento anche i due aspetti della polizia stradale:
una prima pattuglia poco dopo il melone mi da pacche sulle spalle e strette di mano e indicazioni per la strada.
Un’altra dopo Nukus mi ferma per la velocità e scopro che nei centri abitati la velocità max è di 60kmh.
Mi fanno vedere quanto sarebbe la multa, vorrebbero dollari, ma ne ho 5.
Di som non ne ho abbastanza. Ho ancora qualche rublo.
Quando gli dico –“ E vvabbò!... fatemi sta multa che la vado a pgare in banca a Khiva!”
lo Sbirro si convince a prendere tutto quello che c’è:
Una mazzetta a valuta multipla per un totale di non più di otto o nove euri.
Arrivo a Khiva poco prima del tramonto e, dopo le chiacchiere con lo scemo del villaggio e due tipi su un sidecar,
cerco da dormire trovando posto in un Bed and Breakfast gestito dal tipo che mi è sembrato più onesto.

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Il posto è una parte della loro casa con camere su due piani.
La mia, una quadrupla, che occuperò da solo, è proprio di fronte all’ingresso.
Il giardino è diviso in due da un separee in legno e dall’altra parte le donne stanno preparando la cena mentre i bambini scorrazzano e fanno caciara.
Ci accordiamo per il prezzo, intorno ai 15 dollari che forse è un pò alto.
Lui è leggermente scuro di carnagione, con gli occhi neri e profondi che mi fissano un po imbambolati.
Mi fa mettere la moto nel cortile coperto, di lato ai due divani per guardare la tv da un sacco di pollici tenuta sotto la tettoia e di fronte a un tavolo per la colazione sotto la veranda.
Ci accordiamo per un cambio di denaro e io stupidamente gli dico come cifra quella che indica il convertitore di valuta sul mio telefono.
Lui fa una faccia perplessa mentre io memorizzo la cifra.
Lascio i dollari a lui, dice che me li cambierà appena possibile, dato che ora non ha som.
Mi dice anche che se voglio l’indomani può portarmi da un suo amico carrozziere per risolvere il problema del porta targa.
Ok, domani vediamo. Metto il melone in frigo, insieme alle borracce piene d’acqua.
Penso che quello sarà il mio dopocena o il pranzo di domani.
Dopo una doccia beata nel bagno pulitissimo scambio due chiacchiere veloci con una coppia di italiani,
dopodiché mi collego a Facebook per annunciare agli amici il nuovo colpo di scena e fare una ricerca sui traghetti sul mar nero.
A questo punto sarebbe buono trovare un traghetto che mi porti da Sochi (ru) fino a Istanbul o dintorni.
Ma non c’è più da qualche anno.
Riesco a trovare solo navi della UKR Ferry che mi porterebbero in Ucraina o in Bulgaria dopo una giornata di navigazione.
Poi tornare da lì richiederebbe altri giorni di viaggio nel viaggio.
Insomma, non trovo soluzione a questo dilemma del ritorno, né informazioni sulla frontiera di Kazbegi che, se fosse aperta, sarebbe risolutiva.
Mentre sto lì a bere una godutissima birra, un’ austriaca ospite della locanda mi saluta e prova ad attaccare bottone chiedendomi del mio viaggio in attesa di andare a cena con la sua amica che si sta preparando.
Mi rendo conto dell’aria da scoppiato che ho, quando riesco a farla fuggire parlandole del fatto che
volevano farmi desistere dal proseguire il viaggio e del mio non riuscire a darmene una spiegazione.
In quel momentomi vedo come uno scappato dal manicomio con le manie di persecuzione.
Il fatto è che in questa lunga giornata che mi ha portato a Khiva ho avuto modo di riflettere su quanto accaduto.
E mi sono convinto che possono esserci due motivazioni per le parole di Samat.
La prima è il desiderio di fare una buona azione tutelando la mia incolumità,
evitandomi una brutta fine vista la dimostrazione di cazzonaggine nel deserto:
avrà pensato a me come il cittadino occidentale che fa una vacanza in luoghi esotici credendosi un avventuriero ma
assolutamente inconsapevole della difficoltà del territorio.
Questa buona azione sarebbe stata un jackpot milionario per la sua raccolta punti per il loro paradiso.
L’altra, che mi convince di meno, è che non abbia accettato l’idea che qualcuno di straniero violasse quella terra così dura proseguendo in Uzbekistan.
Ovvero: io mi sento figo e macho perché vivo qui. Se chiunque può passare da qui allegramente,
allora io non sono più così figo e macho.
Un po come se io dicessi a un biker tedesco di non andare sulla costa Jonica calabrese che c’è rischio di morire sparati in fronte:
mi circonderei di un’aura da duro non da poco impressionando il visitatore teutonico.
Di certo c’è una cosa, caro Samat: ho fatto 50 km prima di rimanere impantanato sul suolo piatto di un deserto.
Ma sono sicuro che tu in Aspromonte chiameresti i soccorsi dopo la prima vallata.
Fatto sta che qui ci sono arrivato e non era tutta st’impresa farlo.
Di strada veramente brutta erano solo 80 km.
La benzina l’avrei trovata dopo 250 km.
Il russo lo insegnano a scuola e anche i bambini lo parlano e ogni B&B ha una connessione wi-fi perfettamente funzionante.
E finora non ho visto una donna che sia in evidente stato di sottomissione.
Certo fa caldo. Ma dopo la giornata a piedi nel deserto non è più così insopportbaile.
Mi sento un po’ spossato e ho sempre sete, ma ormai mi ci sono abituato.

Per la cena il Tipo mi suggerisce un posto lì vicino, poco fuori le mura della città, frequentato da gente locale e poco costoso.
Mi dirigo verso il posto dopo essere rimasto perplesso dalla sua faccia:
ha qualcosa di diverso da prima ma non riesco a capire cosa, forse l’espressione un po più buia.
Il locale è in pieno stile Uzbeko.
Ha una grande veranda sostenuta da colonne di legno intagliato dove, oltre ai tavoli sul lato esterno,
ci sono dei tavolini bassi su pedane dove si mangia scalzi e a gambe incrociate.
Ordino roba di carne e una birra e siedo fuori a fare foto agli avventori.
Sul palco ci sono degli strumenti e con una telecamera stanno intervistando una donna con l’aria da cantante.



Sono l’unico straniero lì in mezzo fino a quando non
sento una voce conosciuta parlare l’italiano dei tedeschi nei film di Totò:
E’ Goffredo, quello del Rally London- Tashkent.

Mi dice che i vari equipaggi si sono un po sparpagliati:
I ggiovani a fare free camping mentre lui, il Turco ablante e il Motociclista stanno a Khiva ma in alberghi diversi.
Ho un fremito di goduria al pensiero di Mr. Bermuda portato in caserma dalla polizia,
essendo il campeggio libero severamente vietato in Uzbekistan.
Vediamo insieme lo spettacolo.
La donna canta e balla accompagnata da una percussione simile alla tammorra napoletana, una fisarmonica e un cordofono simile a un mandolino allungato.
Suonano musica tipica e alla fine coinvolgono i presenti facendo iniziare le danze.
Ogni tanto il gruppo danzante si fa promiscuo, ma la regola pare essere “ i masculi cu i masculi, i fimmini cu i fimmini” .
Io e Goffredo siamo felicissimi di essere gli unici stranieri ad assistere a questo spettacolo in una minuscola citta in un angolo remoto del globo.

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Dopo un po di chiacchiere sulle nostre vicissitudini e sulle nostre vite
( ha vissuto per anni a Roma poi, finita la storia che lo aveva portato lì, è ritornato in Germania)
entriamo insieme nella città attraversando la fortificazione.
Il suo albergo è una splendida scuola coranica riadattata a 4 stelle appena entrati dalla porta est.
Ci salutiamo con l’augurio di ribeccarci più avanti.
Non ci rivedremo mai più.
Mi incammino per le vie della città, ormai diventata una bomboniera per turisti,
piena di locali per occidentali ma dignitosamente in stile uzbeko.
Tutti vendono alcoolici senza fare problemi e mi viene in mente che l’anno prima in turchia
passavo intere giornate senza toccare alcool.
Dai cortili dei ristoranti e dagli internet cafè giungono voci di gruppi di italiani,
che per il loro volume stridono con la sommessa educazione degli autoctoni che, anche quando sono grezzi, non sono mai volgari. Passeggio da solo un po immalinconito.
Stasera accuso un po il peso della solitudine, forse perchè fare il turista da solo è più dura che fare il viaggiatore solitario.
La città è bellissima con i suoi portali, i cortili e le texture delle maioliche.
Anche gli edifici in mattoni a vista sembrano esprimere la devozione a un dio che ha bandito la rappresentazione degli esseri viventi, osannato attraverso l’ incastro geometrico: non c’è un solo segno che si perda nel nulla. Ogni geometria occupa il suo posto all’interno di una più grande che la contiene e non c’è una sola figura, in quell’abbondanza semiotica, che sia di troppo o che fluttui libera. Gli unici segni a essere svincolati sono le iscrizioni in arabo. E chissà cosa dicono.











Sarei tentato di entrare in un Caffè a prendere una vodka e magari attaccare bottone con dei turisti, magari italiani. Ma mi rendo conto di non avere voglia di mettermi in mezzo a un gruppo di turisti organizzati e spararmi le pose del cavaliere errante. No, sento che nessuno in questo momento potrebbe capire cosa sto vivendo e provando. Nessuno che si stia muovendo in gruppo alla ricerca di monumenti inseguendo una guida, cercando di vedere più cose in una giornata con un pulmino a noleggio. E no, non capirebbero cosa vuol dire arrivare qui mangiando sabbia e moscerini mentre ci si ustiona l’interno coscia col collettore della marmitta, che per il troppo caldo non si raffredda mai. Non capirebbero quanto vale aver percorso su due ruote ogni singolo metro dall’ovest della Grecia, sbagliando strada, parlando con le persone, dormendo con sconosciuti e facendo cazzate. Preferisco bere una bottiglia da un litro d’acqua comprata a caro prezzo da gente del posto, con la bancarella davanti casa e scambiare sorrisi con loro. Le parole non sono tante ma davvero non servono per sentirsi accolti. E questa gente sa accogliere davvero. Vado a dormire deciso a ripartire l’indomani. Khiva l’ho vista, ho onorato la bomboniera turistica. Domani andrò verso Buchara. Il tipo della locanda mi ha gia dato indicazione su dove alloggiare. Dopo un paio di sigarette fumate in veranda vado a nanna. Non riesco a non pensare a che c***o di strada fare per tornare a casa.
 
14105557
14105557 Inviato: 4 Feb 2013 10:55
 

Complimenti dal profondo del cuore...un viaggio bellissimo il tuo! Però l'attesa tra un capitolo e l'altro mi distrugge cavolo... icon_asd.gif

Continua così!
 
14105582
14105582 Inviato: 4 Feb 2013 11:05
 

sempre bellissimo... 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif 0510_inchino.gif

anche se a dire il vero non riesco più a capire tanto bene dove caxzo sei! 0509_si_picchiano.gif 0509_si_picchiano.gif 0509_si_picchiano.gif 0509_si_picchiano.gif 0509_si_picchiano.gif


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14106972
14106972 Inviato: 4 Feb 2013 21:22
 

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questo capirolo è uzbekistan, un paio di città prima di samarcanda...
lo so, diluire così fa perdere ilfilo , ma il tempo è poco ed ègia tanto che ancora non ho desistito dal raccontarvelo...
 
14107057
14107057 Inviato: 4 Feb 2013 21:40
 

Desistere...?? icon_eek.gif icon_eek.gif
Guai a te...!! eusa_naughty.gif eusa_naughty.gif
Siamo tutti qui che ti seguiamo febbricitanti...!!
Vai pure tranquillo e con calma... Ma guai a mollare tutto ora...!! icon_wink.gif 0509_up.gif
 
14107335
14107335 Inviato: 4 Feb 2013 23:29
 

Ok Jo, proseguo proseguo....
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il problema è trovare un paio d'ore di tranquillità...
ma ce la farò.
 
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